Tarantini nel Mondo
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LE ORIGINI DEL MALE

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LE ORIGINI DEL MALE

All’alba di un nuovo giorno di passione, spero che tutto possa risolversi nel migliore dei modi. Abbraccio la speranza con confidenza fraterna, sussurrandole nell’orecchio la supplica di poter intercedere con un fato ingeneroso, rivelatosi fin troppo austero nei nostri riguardi. Eppure, pur provandoci, non giunge alcun sollievo in grado di giustificare anche soltanto un minuto di sano ed incontaminato ottimismo. Già, perché “chi di speranza vive…” E allora, impugno con forza le arterie dell’ emotività, dirottandole verso il mare chiamato “raziocinio”, alla disperata ricerca delle origini del male. E mentre scavo, rivoltando ogni brandello di sabbia, mi accorgo di quanto male fu fatto a questa terra.
Un vecchio proverbio, recita: "Chi si lascia mettere in spalla la vitella, sarà poi forzato a portare la vacca". Se è vero quanto enunciato in questa metafora, mi chiedo, or dunque, per quanto tempo le nostre spalle riusciranno a sorreggerne ancora il peso. E a nulla vale, affinché possa sembrarci meno faticoso, cedere alla reminiscenza anestetica della gracile vitella, perché di essa non rimane che un ricordo, soppiantato da una bovina ingravidata dall'ambizione di pochi, e per la cui ingordigia, il cielo di Taranto si oscura a beneficio del fallimento (in ogni senso). E mentre qualcuno ignora, o finge di ignorare, la bovina continua a mietere vittime (nella carne e nello spirito) alimentando il suo ventre, affinché il suo peso diventi ancora più insostenibile per coloro che ancora non hanno ceduto alla sua sentenza.
Se Taranto agonizza, le sue realtà sportive non possono che riflettere questa ruvida realtà. Ed è un riflesso che fa male, accecante. Ma nonostante ciò, a monte di questa riflessione, cerco comunque di rifiatare, soddisfatto dal piccolo passo compiuto verso una verità che, seppur scomoda, è pur sempre un punto di partenza. Eppure, l’illusione dura poco, soffocata dallo scenario dantesco che mi si prospetta dinanzi. Il niente!!!... Soffro, inveisco, mi dimeno come un animale in gabbia per nulla disposto ad accettare la mia innaturale condizione di “schiavo”, ma a nulla vale. E mentre sento vacillare ogni residua speranza, all’improvviso una luce si fa largo all’orizzonte. E’ la luce chiamata “opportunità”, quelle stesse opportunità abilmente occultate dalla bovina ingravidata. E’ flebile, quasi evanescente , ma c’è e pulsa con orgoglio…
E mentre la osservo con devozione quasi religiosa, mi abbandono al suo seduttivo richiamo. Ma dopo un attimo di conforto, mi accorgo che è lei ad aver bisogno di me (di NOI), e che quel richiamo, altro non è che un disperato grido di aiuto. Forse l’ultimo, il più estremo… E allora, mi spingo nella sua direzione, facendo attenzione alle mille trappole disseminate dalla bovina. Il sentiero è tortuoso, infimo, ma la luce è dalla mia parte… I secondi, i minuti, le ore, i giorni, i mesi e gli anni sembrano non passare mai e i pochi metri che mi separano da essa, sembrano incolmabili…Eppure alla fine sono lì, a pochi centimetri dalla luce chiamata “opportunità”.
“Benvenuto”, proferisce con voce mansueta sostenuta da uno sguardo rassicurante.
“Bentrovata”, le rispondo quasi intimidito dalla sua aurea di grandezza.
“E’ da tanto che bramo una tua visita” aggiunge la luce, esibendomi un sorriso malinconico.
Sorpreso dall’ultima frase, mi domando il perché, senza dir nulla. Ma evidentemente l’espressione rivelatrice del mio volto, smaschera il futile tentativo di occultarle le mie emozioni.
“Ti starai chiedendo il perché…Guarda da solo, figlio mio, e capirai…”
Lo scenario che si prospetta dinanzi ai miei occhi è surreale, quasi fiabesco, da non poterlo descrivere a parole.
Osservo Taranto, una Taranto mai vista e che non conosco. E mi perdo nell’ emozione di trovare il Mar Piccolo, il nostro Mar Piccolo, sano e decontaminato che, con la fierezza di un padre, ritorna a cullare il nostro prodotto tipico per eccellenza: la cozza tarantina, esportata con orgoglio in tutto il mondo. E mi emoziono nel vedere le mille luci della città vecchia, integralmente ristrutturata e animata da migliaia di pub e ristoranti, affollati da turisti entusiasti. E con lo stesso orgoglio mi muovo tra i suoi vicoli antichi, ricchi di storia e tradizione, grondanti di studenti gioiosi. Procedo di qualche metro e lancio uno sguardo verso l’entrata dell’Università. E grande è la mia sorpresa nel constatare che il vecchio cartellone recante la scritta “Università di Bari – Aldo Moro” è stato soppiantato da uno nuovo, in cui campeggia la scritta: “Università di Taranto – LEONIDA “. Sorrido, mentre l’orgoglio continua a montare. E mentre mi gongolo, mi arriva voce che l’aeroporto di Grottaglie è finalmente “aperto” ai voli di linea. Stento a crederci, e mi rivolgo all’avventore che mi ha rivelato la buona novella, con sospetto. Accortosene, mi sorride e mi dice: “fratello, non è tutto”.
Mi racconta il resto… Il porto di Taranto, naturale crocevia tra oriente ed occidente, nonostante le rivendicazioni del capoluogo di regione (mi perdonerete se non lo nomino), è divenuto il più importante di Europa, assieme a quello di Rotterdam. Gioisco… Ma non è ancora tutto. Mi racconta che l’anfiteatro è stato riportato alla luce e che, quotidianamente, migliaia di avventori, popolano le strade della città nuova e il nostro museo, alla ricerca “dell’antico” di cui siamo ricchi e fieri. Ma non è tutto… Mi racconta dell’Arsenale adibito a museo e tutta l’area circostante trasformata in un enorme parco in cui, bambini ed adulti, riscoprono con frenesia la cultura del “bello”. Mi racconta che tutta la costa tarantina (100 km che vanno da Ginosa Marina a San Pietro in Bevagna), è pregna di strutture alberghiere e ricreative e che Taranto è ormai la Rimini degli anni ’80. Ma non è tutto… Mi racconta di una agricoltura florida, dei vigneti disseminati nel versante orientale e di un vino che primeggia sulle tavole d’élite di tutto il mondo. Il Nostro. Mi racconta che per vedere un film come si conviene, non è più necessario farsi cento chilometri per andare ad ingravidare le tasche dei nostri cugini, già fin troppo gravide, e ingravidate a nostro scapito. Mi racconta di una Taranto che ha scelto di non intossicarsi per un pezzo di pane. Mi racconta di una Taranto ribellatasi alla cultura della sconfitta. Mi racconta di una Taranto fiera e capace di camminare con le proprie gambe e di una Taranto riscopertasi capace di fare “ Impresa”. Tutto ciò si traduce in una sola cosa: RICCHEZZA PER TUTTI! E laddove c’è ricchezza, nessuna eccellenza può fallire, tantomeno quella sportiva.
Inebriato da tutto questo belvedere, ritorno a fissare la luce e le chiedo: “Perché tutto ciò non accade? Qual è l’origine del male?”
E lei, con una mano appoggiata sulla mia spalla, mi risponde: “O tu, figlio mio, che ancor non hai perduto il ben dell’intelletto e che hai visto ciò che ti ho concesso di vedere, trova da solo le tue risposte. Se ci riuscirai, scoprirai il nome della bovina, e con esso l’origine del male.”

TARANTO, TI AMO
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PresidioSpartano

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